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L’articolo è dedicato a un’immagine centrale dell’opera e della riflessione di Buzzati: le montagne viste da lontano, quasi un mitologema che compare già, oltre che nel romanzo d’esordio Bàrnabo delle montagne (1933), nelle didascalie stese in quello stesso anno per il fototesto La stagione della montagna. Il tema viene indagato attraverso un’analisi puntuale del romanzo, affiancata da riferimenti ad altri lavori di Buzzati, come I miracoli di Val Morel; vengono stabiliti confronti con l’arte figurativa (Tiziano commentato da Buzzati; Cézanne), con le leggende delle Dolomiti (Karl Felix Wolff), con altri scrittori veneti (Zanzotto) e con il fototesto Un villaggio della Val di Fassa pubblicato nel 1949 da Arturo Brambilla.

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Il saggio propone un’analisi dei rapporti tra fumetto e arte d’avanguardia in Italia nel decennio 1959–69, attraverso un confronto tra i percorsi biografici di Dino Buzzati e dell’artista Gastone Novelli. Dopo una prima analisi della mancata ricezione delle novità del fumetto nell’ambiente letterario italiano, il contributo ricostruisce l’interesse dei due autori per il nuovo linguaggio. Da un lato Buzzati, che mostra interesse nell’ideare un racconto grafico sin dal 1952, anno di uno scritto disperso che viene qui discusso; dall’altro Novelli, autore di una serie di libri d’artista e collaborazioni con i Novissimi che preludono al suo I viaggi di Brek (1967), libro a fumetti che Buzzati stesso ammirò sulla rivista d’arte contemporanea “Metro.” La seconda parte del contributo esplora le caratteristiche morfologiche del “graphic novel d’artista,” lavori grafici di non professionisti della vignetta caratterizzati dalla destrutturazione del segno, dell’uso poco ortodosso del lettering e dalla rottura della tradizionale gabbia fumettistica.

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Lorenzo Mattotti’s 2019 adaptation of Dino Buzzati’s La famosa invasione degli orsi in Sicilia (1945) deserves special attention for three important reasons. First, Mattotti gives this long-undervalued work the preeminence it deserves as an iconotext that can be read by children and adults alike. Second, the movie introduces narrative elements from other works by Buzzati, ranging from Il deserto dei Tartari (1940) to I Miracoli di Val Morel (1971). Third, Mattotti’s film enhances two themes that were already present in Buzzati’s work: the contrast between human and animal perspectives, and the comparison between the city and the mountains. The filmic transposition develops these two themes: the first is transformed into a conflict between social groups, personifying issues that are highly debated today (the subaltern state, migration, postcolonialism); the second can be interpreted as an ecocritical rereading of Buzzati’s text. The struggle against social discrimination and the protection of the natural environment make Mattotti’s movie highly relevant because it addresses urgent contemporary issues.

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This essay examines the impact of the studies conducted by cybernetician Silvio Ceccato on Buzzati’s novella Il grande ritratto (1959). While the link connecting Buzzati’s fictional rendition of an artificial intelligence (AI) in the novella and Ceccato’s theories have previously been established by the critics, this study explores in-depth and for the first time how truly knowledgeable and receptive the author was to the then new field of cybernetics. By cross-referencing Il grande ritratto against Ceccato’s work, and Buzzati’s own newspaper articles dedicated to it, this study demonstrates how the novella’s techno-scientific substratum is fundamental to understand why Buzzati chose to write the character of Numero Uno, the AI, the way he did. Indeed, the story departs from the traditional depiction of humanoid robots and anticipates some of the contemporary issues concerning AI, from the “black box problem” and autonomy in neural networks, to biases in data. The purpose of this essay is to situate Il grande ritratto within Buzzati’s well-informed curiosity for Ceccato’s theories, while also showing how the author’s engagement with cybernetics was not at all atypical, but rather in line with the enthusiastic interest for the field animating many Italian artists between the late 1950s and early 1960s.

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This essay discusses Dino Buzzati’s Il grande ritratto (Larger than Life) in the theoretical coordinates provided by ecocritical reflections on science fiction. Examining the science fictional dimension of Il grande ritratto is useful both to underline the close ties the author had with the genre from a historical perspective, and to highlight the possibilities presented by science fiction in terms of the representation of technological innovations and the environment. By analyzing the nature-technology hybrid in Il grande ritratto, the essay highlights how Buzzati’s notion of the agency of matter betrays an ecophobic attitude (which is to say, a fear of the agency of nature) that is intertwined with a similar fear of female agency, due to the identification of the landscape with a female artificial intelligence.

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L’articolo si propone di analizzare Un amore (1963) di Dino Buzzati, considerandolo come uno dei romanzi che rappresenta in modo emblematico il processo di erotizzazione della cultura e della società sviluppatosi in Italia a partire dagli anni Sessanta, in risposta al progressivo cambiamento dei costumi e all’affermarsi di un discorso teorico sulla sessualità che si stava diffondendo in questo stesso periodo. Come tenteremo di dimostrare in questo articolo, in Un amore Buzzati traduce formalmente l’ossessione erotica del protagonista Dorigo verso Laide attraverso una serie di strategie retoriche (uso della metafora, di interrogative retoriche, iperaggettivazione, ecc.) che, associate a temi specifici (la prostituzione, la gelosia, il rapporto tra interdizione e repressione), riprendono alcuni nuclei teorici centrali della riflessione sul rapporto tra desiderio e società borghese e della critica all’erotismo formulata in quegli stessi anni da Georges Bataille, Réné Girard e Herbert Marcuse.